Un’app per rubare con comodità: si chiama Makkie Klauwe (che in slang olandese significa qualcosa come “guadagni facili”) e rivela i posti migliori della città dove rubacchiare.
L’applicazione mette insieme i dati accessibili al pubblico sul reddito disponibile, i livelli di criminalità e altri problemi segnalati in un quartiere ed individua il posto migliore per rubare: ad esempio, un quartiere perfetto ha un alto reddito, bassa criminalità e lampioni rotti.
Fortunatamente, l’app Makkie Klauwe non è attiva su nessuno smartphone. Bram Fritz, uno studente di graphic-design, la ideò provocatoriamente per un concorso di app nel 2011 vincendo il primo premio nella categoria “sicurezza”.
«Ho voluto accendere un dibattito sulla sempre maggiore quantità di dati facilmente disponibili che possono cambiare la vita urbana confrontando con i cittadini quello che potrebbe diventare una minaccia per la loro proprietà» – ha spiegato Bram Fritz, commentando il suo interessante esperimento di creatività applicata.
Non vi è dubbio che sia la buona pratica creativa l’elemento base su cui si fonda la progettazione delle stesse Smart City, mix di elementi materiali e capacità umane, e ciò spiega come anche gli stessi professionisti che operano nelle imprese creative, con la loro visione diversa sul mondo, ci offrano la possibilità di una migliore qualità di vita, nonché incredibili opportunità democratiche a livello locale.
Jon Kingsbury, esperto inglese di media digitali, responsabile del Creative Economy Innovation Programme, sostiene che le Smart City dovrebbero investire in creatività, in quanto essa è la chiave di volta del processo che porta alla loro stessa nascita generando prodotti innovativi a nostro beneficio.
«Una città completamente automatizzata con una banda ultra-larga e un sistema di trasporto efficiente non può definirsi smart senza sviluppare anche un’economia della conoscenza, ossia senza affiancare i suoi cittadini nel trovare nuove vie per migliorare le loro vite. La creatività è la chiave di volta questo processo, nel senso che è la buona pratica creativa che pone gli uomini al cuore del processo di progettazione, rendendo possibile l’interazione rapida ed agile di beni e servizi, così come sono i professionisti della creatività ad avere una visione diversa sul mondo».
Ne è convinto anche Charles Landry urbanista e ispiratore del movimento globale, per la rinascita degli spazi urbani. “La città creativa”, il concetto da lui coniato nei tardi anni ’80 in risposta ai drammatici cambiamenti economici e sociali dell’epoca, è divenuto nel tempo un vero movimento planetario per ripensare la pianificazione e la gestione delle città.
Contro il modello dello “urban engineering”, che si concentra esclusivamente sulle infrastrutture fisiche, ovvero l’hardware dello spazio urbano, Landry ha elaborato il concetto di “infrastruttura creativa”, che è un connubio tra tale componente e quella software, quali le dinamiche umane di un luogo, le sue connessioni e relazioni, la sua atmosfera.
Rispetto al rapporto tra le due componenti, secondo Landry «ciò che è fisico deve incoraggiare l’immateriale». Gli oggetti della quotidianità come strade, piloni elettrici, cassonetti della spazzatura possono diventare molto più attraenti, in modo da suscitare quel coinvolgimento psicologico che è “l’elemento base per promuovere la creatività” e valorizzare le risorse specifiche di ogni città promuovendo la partecipazione. Si tratta cioè di costruire una Smart City andando oltre l’aspetto meramente tecnologico per concentrarsi invece sulle interazioni umane e sulla comunità della rete, on e off line, occupandosi di coloro che spesso non sono rappresentati nei processi innovativi, come immigrati o giovani delle aree emarginate.
Un esempio di “città intelligente” incentrata sull’innovazione sociale è quello proposto dalla città svedese di Malmö, come racconta Per Linde, ricercatore in Interaction design della locale università, che al momento si sta occupando del “Living Lab The Neigbourhood”, parte del progetto europeo Periphèria volto a promuovere una rete di città intelligenti per stili di vita sostenibili.
«È importante che il concetto di “smartness” non abbia una prospettiva completamente incentrata sulla tecnologia, – afferma Linde – in quanto l’innovazione riguarda anche la stessa democrazia. Le nuove tecnologie e i nuovi media sono uno degli strumenti per promuovere la crescita del cittadino da una prospettiva “civica”. A Malmö da alcuni anni stiamo lavorando per creare delle reti di cittadini, di “civil servants” e aziende con un ruolo complementare. Abbiamo un’attenzione specifica rispetto a coloro che spesso non sono rappresentati nei processi innovativi, come gli immigrati, i giovani delle aree emarginate o coloro che provengono dalle organizzazioni non governative. Sempre più spesso ci occupiamo di sostenere le parti coinvolte nelle reti in modo da farle collaborare su questioni di rilevanza sociale e importanti per la comunità. Viene poi avviato un processo di revisione su quale supporto tecnologico potrebbe essere rilevante per affrontare questi problemi, in modo da promuovere un deciso sviluppo, fermo restando la partecipazione dei cittadini in tutto il processo».
In questo caso, l’attenzione si sposta dal prodotto finale e dal prodotto in sé, decontestualizzato dal resto, mirando invece a quelle caratteristiche che rendono possibile la partecipazione civica in una fase precedente, cioè durante la sperimentazione e la progettazione aperte e pubbliche, per arrivare poi al potenziale di utilizzo nella fase d’uso vero e proprio.
Altre esperienze sull’argomento: The multiplex metropolis